La scelta del regime fiscale rappresenta uno dei passaggi più delicati nella vita di un’impresa o di un libero professionista. Determina non solo quanto si paga di tasse, ma anche il livello di obblighi contabili, di contributi previdenziali e di accesso a determinate agevolazioni fiscali.Molti imprenditori iniziano la propria attività con il regime forfettario, attratti dalla sua semplicità e dalla tassazione agevolata. Tuttavia, con il passare del tempo, l’attività cresce, cambiano i margini, si assumono collaboratori, si acquistano beni strumentali, e il regime iniziale può non essere più conveniente o sostenibile.Ma quando è davvero il momento di cambiare regime fiscale? E in base a quali criteri deve essere presa questa decisione? In questo articolo analizziamo in modo approfondito:
In Italia, le attività economiche possono operare sotto diversi regimi fiscali, ciascuno con proprie regole in termini di tassazione, IVA e obblighi contabili.
È il regime agevolato riservato a persone fisiche (ditte individuali o professionisti) con ricavi annui non superiori a 85.000 euro.
Prevede:
Il reddito imponibile si calcola applicando un coefficiente di redditività (dal 40% all’86%) ai ricavi, senza possibilità di dedurre costi reali.È ideale per chi ha pochi costi e margini elevati, ma può diventare penalizzante per chi ha spese consistenti o vuole crescere.
Si applica a imprese individuali e società di persone con ricavi fino a 500.000 euro (servizi) o 700.000 euro (beni).
Prevede:
È adatto a chi ha costi significativi e vuole beneficiare della deduzione e detrazione delle spese.
È obbligatorio per imprese più strutturate o società di capitali (es. SRL).
Prevede:
Offre maggiore trasparenza e flessibilità fiscale, ma comporta oneri contabili più elevati.
Cambiare regime fiscale non è solo una questione di soglie numeriche, ma anche di strategia aziendale e sostenibilità fiscale.
Vediamo i principali segnali che suggeriscono di rivalutare la propria posizione.
Il primo segnale oggettivo è il superamento dei limiti di fatturato previsti dal regime forfettario (85.000 euro).
In tal caso, il passaggio al regime semplificato è obbligatorio dall’anno successivo, con l’applicazione dell’IVA e della contabilità ordinaria.Tuttavia, è consigliabile anticipare la decisione quando si prevede una crescita stabile, per evitare bruschi salti di tassazione o gestione.
Il regime forfettario non consente la deduzione dei costi reali: tutto viene calcolato in modo forfettario.
Quando l’attività richiede spese rilevanti (es. marketing, personale, attrezzature, affitti), può diventare più conveniente passare a un regime che permetta la deduzione effettiva dei costi.
Esempio pratico:
Un professionista con 70.000 € di ricavi e 30.000 € di costi reali nel regime forfettario paga l’imposta sul 78% dei ricavi, cioè su 54.600 €, anche se il suo margine netto è inferiore.
Nel regime ordinario, invece, pagherebbe le imposte su 40.000 €, con un risparmio fiscale significativo.
Il forfettario limita le deduzioni per compensi e stipendi. Se l’attività richiede di ampliare l’organico, aprire un ufficio o affidarsi a collaboratori esterni, la struttura dei costi cambia radicalmente.
In questi casi, il regime semplificato o ordinario diventa più sostenibile e vantaggioso.
Le imprese che intendono lavorare con clienti esteri o società spesso preferiscono operare con un regime IVA ordinario.
Infatti, molti committenti preferiscono avere fatture con IVA e ritenute regolari, che nel regime forfettario non vengono applicate.Inoltre, per attività che intendono partecipare a gare o bandi pubblici, il regime ordinario offre maggiore credibilità e tracciabilità.
Quando i ricavi crescono e i margini diventano significativi, la tassazione sostitutiva del 15% può risultare meno efficiente rispetto alla pianificazione fiscale ordinaria.
Con il regime ordinario, è possibile:
Il primo passo consiste nel confrontare, con l’aiuto di un consulente, quanto si pagherebbe di imposte nei diversi regimi, a parità di ricavi e costi.
| Parametro | Regime Forfettario | Regime Ordinario |
|---|---|---|
| Ricavi | 80.000 € | 80.000 € |
| Costi deducibili | Non ammessi | 30.000 € |
| Reddito imponibile | 62.400 € (78%) | 50.000 € |
| Imposte | 9.360 € (15%) | Circa 10.500 € IRPEF progressiva |
| IVA | Non applicata | Detraibile sugli acquisti |
| Deduzioni personali | Non previste | Ammesse |
| Contributi | Gestione separata / INPS | Gestione ordinaria / INPS |
In molti casi, il risparmio reale non dipende solo dall’aliquota, ma anche dal meccanismo di calcolo del reddito.
Un altro criterio è il punto di pareggio fiscale: il livello di costi oltre il quale il regime forfettario smette di essere conveniente.
Generalmente, se i costi effettivi superano il 30-35% dei ricavi, conviene valutare il passaggio a un regime ordinario.
Nel regime forfettario i contributi INPS si calcolano sul reddito forfettario, mentre nel regime ordinario si calcolano sul reddito effettivo.
Per chi ha redditi bassi, il forfettario può comportare contributi più elevati di quelli dovuti effettivamente.Un’analisi previdenziale accurata consente di evitare squilibri tra imposte e contributi.
Il cambio di regime può avvenire:
Il passaggio va pianificato in anticipo, preferibilmente entro il mese di dicembre, per organizzare in tempo la contabilità e la liquidità necessaria.
Il cambio di regime comporta:
È importante aggiornare anche i software gestionali e di fatturazione elettronica, per adeguarli al nuovo regime.
Se i ricavi restano stabilmente sotto gli 85.000 €, e i costi sono contenuti, il forfettario rimane conveniente grazie alla semplicità e al carico fiscale ridotto.
Professionisti che lavorano da remoto, senza personale e con pochi investimenti, traggono vantaggio dalla riduzione degli adempimenti e dall’imposta sostitutiva.
Durante fasi di instabilità (es. calo del mercato, cambio modello di business), è prudente non aumentare la complessità amministrativa finché la crescita non è consolidata.
Un professionista esperto può simulare diversi scenari:
Il cambio di regime incide sulla liquidità, per via dell’IVA da versare e degli acconti più elevati.
Occorre quindi predisporre:
Con l’introduzione dell’IVA, i prezzi devono essere rivalutati per mantenere margini sostenibili senza penalizzare la competitività.
Passare a un regime più strutturato offre anche opportunità strategiche:
Molte imprese digitali e start-up, dopo i primi anni in forfettario, scelgono di evolvere verso un modello societario (SRL) per migliorare la gestione e la protezione patrimoniale.
Un consulente informatico con 75.000 € di ricavi e 30.000 € di costi effettivi paga nel forfettario circa 9.000 € di imposta sostitutiva.
Nel regime ordinario, al netto dei costi, pagherebbe circa 10.000 € di IRPEF, ma recupererebbe oltre 6.000 € di IVA sugli acquisti e potrebbe dedurre i contributi previdenziali.
Il risultato complessivo: tassazione effettiva più bassa e maggiore liquidità fiscale.
Cambiare regime fiscale è una scelta strategica, non solo fiscale.
Non va basata su percezioni o sull’aliquota apparente, ma su una valutazione complessiva di redditi, costi, contributi, prospettive di crescita e struttura aziendale.In sintesi:
Il passaggio da un regime all’altro dovrebbe essere pianificato insieme al proprio consulente, in un’ottica di crescita e sostenibilità.